Paolo Novelli. Il giorno dopo la notte

La mostra Paolo Novelli. Il giorno dopo la notte, prevista in Project Room dal 14 giugno al 6 ottobre 2024, riunisce e pone in dialogo in un unico spazio due cicli di lavoro del fotografo bresciano, realizzati fra 2011 e 2018, centrali nell’evoluzione del suo linguaggio.

Entrambe realizzate in analogico in un rigoroso bianco e nero, nel quale il processo di stampa assume un’importanza fondamentale, le due serie presentano sostanzialmente un unico soggetto, le finestre, coperte da persiane chiuse o murate, sulle facciate di edifici che non presentano alcuna caratteristica architettonica di particolare fascino. La notte non basta è composto da una sequenza di notturni, dove le finestre – o meglio le persiane che ne impediscono la vista – emergono dal buio dialogando con la luce dei lampioni, mentre Il giorno non basta si concentra sulla luce diurna che tocca le rientranze geometriche costituite dalle finestre murate, che diventano quasi delle forme astratte, segni minimali sulla superficie dell’edificio. Il titolo deriva da una riflessione del fotografo sui modi di dire, che si allarga a una visione della vita: “quando le cose vanno male, qualcuno a fine giornata ci rincuora con frasi come: “dormici sopra, fai passare la notte e domani mattina vedrai…”. Poi ti svegli e non è cambiato nulla. A volte rimane solo un desiderio, incalzante: scappare; cosa che alla fine non succede quasi mai; da qui la seconda parte del dittico “il giorno non basta”, con ipotetico sottotitolo “a fuggire””.

La ricerca di Novelli è fatta di tempi lunghi di realizzazione che richiedono tempi altrettanto lunghi di visione, poiché le immagini sono fatte di variazioni minime, di spostamenti della luce e dell’ombra, di sfumature nei toni, in un morandiano affondo nel mistero della restituzione del mondo per via di immagini, tanto più silenziose quanto più evocative.

Paolo Novelli è attivo dalla fine degli anni Novanta; a partire dagli anni Duemila ha pubblicato diverse monografie, tra cui Interiors in occasione della sua prima mostra alla Galleria Massimo Minini nel 2011, galleria nella quale ha tenuto anche la sua mostra più recente, nel 2022. Di rilievo anche la mostra alla Triennale di Milano tenutasi nel 2019, a cura di Giovanni Martini, che è stato, insieme a Lanfranco Colombo, Arturo Carlo Quintavalle e Giovanni Gastel, uno degli autori che più hanno sostenuto e interpretato il suo lavoro.

 

La mostra nella Project Room di CAMERA, composta da una ventina di fotografie, è curata da Walter Guadagnini ed è accompagnata da un catalogo pubblicato da Dario Cimorelli Editore.

Margaret Bourke-White. Lo sguardo dal tetto del mondo

Dopo il successo delle mostre dedicate alle grandi pioniere della fotografia Eve Arnold e Dorothea Lange, CAMERA offre una nuova esposizione che vede protagonista un’altra grande maestra della fotografia del Novecento: l’americana Margaret Bourke-White.

Dal 14 giugno al 6 ottobre 2024 gli spazi del Centro accoglieranno un percorso espositivo, a cura di Monica Poggi, che attraverso circa 150 fotografie, racconterà il lavoro, la vita straordinaria, l’altissima qualità degli scatti di Bourke-White, capaci di raccontare la complessa esperienza umana sulle pagine di riviste a grande diffusione – di cui la mostra presenta una ricca selezione – superando con determinazione barriere e confini di genere.

Le trasformazioni del mondo, cuore della ricerca di Bourke-White, trovano posto sulla copertina del primo numero della leggendaria rivista LIFE, si leggono nei suoi iconici ritratti a Stalin e a Ghandi, nei reportage sull’industria americana, nei servizi realizzati durante la Seconda guerra mondiale in Unione Sovietica, Nord Africa, Italia e Germania, dove documenta l’entrata delle truppe statunitensi a Berlino e gli orrori dei campi di concentramento. Costretta ad abbandonare la fotografia a causa del morbo di Parkinson, dal 1957 Bourke-White si dedicherà alla sua autobiografia, Portrait of Myself, pubblicata nel 1963. Morirà nel 1971 a causa delle complicazioni della malattia.

 

La mostra prevede la pubblicazione di un catalogo edito da Dario Cimorelli Editore.

 

La radio ufficiale della mostra è Radio Monte Carlo.

Voci Nascoste. Le lingue che resistono

Il progetto Voci Nascoste. Le lingue che resistono è realizzato da CAMERA e Chora Media, in partnership culturale con Lavazza, prevede la committenza di tre lavori inediti ad Arianna Arcara (Monza, 1984), Antonio Ottomanelli (Bari, 1982) e Roselena Ramistella (Gela, 1982) sul tema delle minoranze linguistiche nelle aree interne della penisola italiana.

Il racconto giornaliero della comunità albanese Arbereshe in Sicilia, dei gruppi di parlanti greco-italioti della Grecia salentina in Puglia e di quelli francoprovenzali della Valle d’Aosta descrivono un paesaggio visivo, morfologico e sonoro, ricco e articolato, dove la contemporaneità si incontra con il mito. La memoria del patrimonio orale, tuttavia, vive un momento cruciale dovuto all’intensificarsi delle dinamiche di invecchiamento della popolazione, dell’urbanizzazione delle grandi metropoli da parte dei più giovani, della turistificazione massiva dei luoghi o – per contrario – del loro spopolamento.

 

La parte visiva del progetto sarà integrata da una componente di ricerca giornalistica che prenderà forma su podcast.
La mostra collettiva è ospitata nella Sala 6 della sede di CAMERA, in occasione di EXPOSED Torino Foto Festival.

Dongkyun Vak. Heatwave

In occasione della prima edizione di EXPOSED Torino Foto Festival, la Project Room ospita Heatwave, mostra del giovane artista sudcoreano Dongkyun Vak, vincitore della terza edizione di A New Gaze premio biennale creato dalla collezione svizzera Art Vontobel Collection e dedicato alla fotografia contemporanea.

 

Con oltre venti fotografie, tra lightbox e stampe di medio e grande formato, la mostra esplora il rapporto tra esseri viventi, natura e tecnologia nella contemporaneità. Le immagini di paesaggi naturali e antropizzati, di prototipi meccanici e autoveicoli, di architetture e corpi che li abitano non registrano direttamente la catastrofe ambientale ma, al contrario, ricompongono un catalogo visivo in cui innovazione tecnologica e design eco-compatibile tracciano una nuova via di coesistenza.

Vak ricorre all’estetica seducente della fashion photography per ricostruire uno spazio asettico nel quale riflettere sul ruolo della tecnologia, innovazione e conoscenza in tale svolta storica. Rimettendo in scena o ricostruendo molteplici momenti, scene, e situazioni, l’artista mette a confronto l’ingegno della natura con quello della fabbrica, ragionando così sull’idea di una nuova configurazione del paesaggio odierno.
Il progetto prende spunto dalla nozione di Antropocene, termine che identifica l’attuale periodo storico come nuova era geologica in cui, a differenza del passato, gli effetti dell’attività umana sono superiori agli impatti geologici ed evolutivi del pianeta. Da questo assunto derivano non solo la preoccupazione e timori ma, come Vak evidenzia, anche nuove sfide per il futuro, nella direzione di un cambiamento degli stili di vita che intervenga su questioni ormai ben note come il riscaldamento globale, gli squilibri climatici, la perdita di habitat e delle biodiversità.

 

La mostra sarà visitabile dal 20 aprile al 2 giugno 2024.

Ugo Mulas / I graffiti di Saul Steinberg a Milano

Nel 1961 Saul Steinberg realizzò una straordinaria decorazione a graffito dell’atrio della Palazzina Mayer di Milano, commissionata dallo Studio BBPR, che stava curando la ristrutturazione dell’edificio. Si tratta di un’opera importante che segue altri progetti simili che l’artista aveva intrapreso negli Stati Uniti e in Europa nei quindici anni precedenti.
A lavoro compiuto, Steinberg chiede a un giovane Ugo Mulas  di testimoniare l’opera, nella sua interezza e nei particolari. Per aiutare il fotografo nel suo lavoro, l’artista redige anche un breve testo che spiega l’iconografia e il senso del suo lavoro, una riflessione sul labirinto a partire dalla Galleria Vittorio Emanuele di Milano, città nella quale Steinberg aveva vissuto prima della guerra. Nel 1997 la palazzina sarà nuovamente ristrutturata, e i graffiti distrutti: oggi, di quello splendido intervento rimangono solo le fotografie di Ugo Mulas, capaci di restituire insieme il documento dell’opera e la sua interpretazione.

La mostra Ugo Mulas / I graffiti di Saul Steinberg a Milano, a cura di Archivio Ugo Mulas e Walter Guadagnini, sarà nella Project Room di CAMERA a partire dal 14 febbraio al 14 aprile 2024 e racconta quella vicenda, riproponendo in scala l’intera decorazione a partire dalle fotografie di Mulas. Una selezione di una quindicina di fotografie – alcune vintage altre stampate per questa occasione – permettono di entrare in profondità nel lavoro di questi due grandi rappresentanti dell’arte del XX secolo, di apprezzare la fantasia iconografica steinberghiana e la lucidità poetica dell’occhio di Mulas.

 

La mostra sarà accompagnata da un volume edito da Dario Cimorelli Editore, curato da Dario Borso, autore del testo critico e della ricerca che ha permesso la ricostruzione di questo singolare episodio della cultura italiana del dopoguerra, contenente le immagini di Mulas e il dattiloscritto inviato da Steinberg al fotografo.

Il catalogo sarà presto disponibile.

Michele Pellegrino. Fotografie 1967-2023

La mostra Michele Pellegrino. Fotografie 1967-2023, organizzata da CAMERA e Fondazione CRC con la curatela di Barbara Bergaglio e un testo di Mario Calabresi, si compone di 50 immagini del fotografo Michele Pellegrino (Chiusa di Pesio, CN, 1934).
Una essenziale antologica dell’intero suo percorso creativo, tra montagne, ritualità, volti e momenti del mondo contadino, che narrano la passione di Pellegrino per la sua terra e per la fotografia. A completare l’esposizione, uno studio del paesaggio botanico e una selezione digitale dell’archivio completano l’esposizione. 

La mostra si compone di cinque sezioni che costituiscono una sintesi del lavoro dell’autore nel corso della sua lunga attività professionale e artistica: Esodo. Storie di uomini e di montagne, Visages de la Contemplation, Scene di matrimonio, Le nitide vette e Langa. Insieme a queste, è proposta una selezione digitale frutto della catalogazione e digitalizzazione effettuate da CAMERA sull’archivio del fotografo, acquisito dalla Fondazione CRC nell’ambito del progetto Donare.

Completa l’esposizione una lettura di quattro foto di paesaggio inserite in Atlante artistico botanico della flora e del paesaggio del Nord Italia, una ricerca, condotta presso l’Università di Udine dalla dottoranda Alessia Venditti con la supervisione dei docenti Alessandro Del Puppo e Valentino Casolo, finanziata dalla Fondazione Intesa Sanpaolo Onlus.

 

La mostra sarà nella Sala 6 dal 14 febbraio al 14 aprile 2024.

 

La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Dario Cimorelli Editore con testi di Barbara Bergaglio e Mario Calabresi.

Robert Capa e Gerda Taro: la fotografia, l’amore, la guerra

CAMERA presenta Robert Capa e Gerda Taro: la fotografia, l’amore, la guerra, un’altra grande mostra – dopo le personali dedicate a Dorothea Lange e André Kertész – che racconta con circa 120 fotografie uno dei momenti cruciali della storia della fotografia del XX secolo, il rapporto professionale e affettivo fra Robert Capa e Gerda Taro, tragicamente interrottosi con la morte della fotografa in Spagna nel 1937.
Fuggita dalla Germania nazista lei, emigrato dall’Ungheria lui, Gerta Pohorylle e Endre – poi francesizzato André – Friedmann (questi i loro veri nomi) si incontrano a Parigi nel 1934, e l’anno successivo si innamorano, stringendo un sodalizio artistico e sentimentale che li porta a frequentare i cafè del Quartiere Latino ma anche ad impegnarsi nella fotografia e nella lotta politica. In una Parigi in grande fermento ma invasa da intellettuali e artisti da tutta Europa, trovare committenze è però sempre più difficile. Per cercare di allettare gli editori, è Gerta a inventarsi il personaggio di Robert Capa, un ricco e famoso fotografo americano arrivato da poco nel continente, alter ego con il quale André si identificherà per il resto della sua vita. Anche lei cambia nome e assume quello di Gerda Taro.
L’anno decisivo per entrambi è il 1936: in agosto si muovono verso la Spagna, per documentare la guerra civile in corso tra i repubblicani e fascisti; il mese dopo Robert Capa realizzerà il leggendario scatto del Miliziano colpito a morte, mentre Gerda Taro scatta la sua immagine più iconica, una miliziana in addestramento, pistola puntata e scarpe con i tacchi, in un punto di vista inedito della guerra fatta e rappresentata da donne.

 

L’intensa stagione di fotografia, guerra e amore di questi due straordinari personaggi è narrata nella mostra curata da Walter Guadagnini e Monica Poggi, attraverso le fotografie e la riproduzione di alcuni provini della celebre “valigia messicana”, contenente 4.500 negativi scattati in Spagna dai due protagonisti della mostra e dal loro amico e sodale David Seymour, detto “Chim”. La valigia, di cui si sono perse le tracce nel 1939 – quando Capa l’ha affidata a un amico per evitare che i materiali venissero requisiti e distrutti dalle truppe tedesche – è stata ritrovata solamente nel 2007 a Mexico City, permettendo di attribuire correttamente una serie di immagini di cui fino ad allora non era chiaro l’autore o l’autrice.

 

Il catalogo è edito da Dario Cimorelli Editore con testi dei curatori.

 

Con il patrocinio di Accademia d’Ungheria in Roma.

La radio ufficiale della mostra è Radio Monte Carlo.

La storia della fotografia nelle tue mani

La mostra multimediale permanente La storia della fotografia nelle tue mani ripercorre le tappe fondamentali della storia del linguaggio fotografico: l’evoluzione nel tempo è raccontata attraverso una selezione di immagini che rappresentano i momenti più rilevanti di questa storia, toccando così i principali generi e modi attraverso cui la fotografia si è sviluppata in quasi due secoli, dal ritratto al reportage, dalla fotografia artistica a quella di moda, fino ad arrivare alle immagini prodotte dall’Intelligenza Artificiale.

Nel percorso sono presenti l’ironico ritratto della Contessa di Castiglione di Pierre-Louis Pierson, il celebre pranzo in cima a un grattacielo di Charles C. Ebbets, la Madre Migrante di Dorothea Lange, l’onirica stanza popolata di pesci rossi di Sandy Skoglund, i primi passi sulla Luna di Buzz Aldrin nell’iconico scatto di Neil Armstrong fino ad arrivare all’immagine fake di Papa Francesco in piumino Balenciaga di Pablo Xavier.

 

La mostra è costituita da pannelli, contenuti digitali, video, testi scritti, ed è nata dalla volontà di consentire anche alle persone cieche o ipovedenti di conoscere e approfondire l’affascinante storia della fotografia.

In mostra non sono presenti fotografie alle pareti come in un’esposizione tradizionale, bensì pannelli visivo-tattili realizzati grazie alla sofisticata tecnica dell’adduzione, che consente una rappresentazione fedele dell’immagine ma anche la presenza di un rilievo in resina trasparente in corrispondenza dei tratti principali del soggetto. Mostrare l’immagine da un punto di vista puramente visivo e, sullo stesso supporto, dare l’opportunità alle persone cieche o ipovedenti di esplorarlo tattilmente grazie ai rilievi in resina, consente di creare una proposta di visita unica, garantendo una completa e omogenea incisività del messaggio. Ciascun pannello, corredato da didascalie in braille, è accompagnato anche da dettagliate descrizioni video in LIS (Lingua dei Segni Italiana).

Per raccontare la storia della fotografia in modo completo è necessario, inoltre, inserire l’immagine nel più ampio contesto sociale e politico: per questo nel percorso sono inseriti anche video, intervallati alle immagini, fruibili mediante schermi dotati di un sistema di amplificazione di ultima generazione che favorisce un audio puntuale non invasivo. Immagini e video sono allestiti mediante un sistema su binario affinché il percorso possa essere via via integrato con nuovi contenuti.

 

 

È possibile organizzare visite guidate tematiche alla mostra, sia per adulti che dedicati alle scuole.

Clicca qui per conoscere i percorsi delle visite tematiche per adulti.

Clicca qui per conoscere i percorsi delle visite tematiche per le scuole secondarie.

CAMERA Torino + CAMERA Italia

Un nuovo viaggio tra le fotografie che comincia a Torino, passa per Saluzzo e Forlì, e arriva a Bassano del Grappa: sei mostre in quattro città dal mese di settembre fino al prossimo febbraio.

È questo l’ambizioso programma dell’autunno di CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia!

 

Partiamo da Torino con una mostra sull’opera di André Kertész, uno dei grandi maestri della fotografia del XX secolo, a cui si affianca un progetto che mette in relazione quattro giovani fotografi che rileggono e reinterpretano l’immenso patrimonio degli Archivi Alinari; accanto a queste due mostre, CAMERA propone, nella galleria della propria sede, il primo percorso multimediale accessibile in Italia sulla storia della fotografia, ulteriore miglioramento del dialogo con tutti i possibili pubblici.
Saluzzo è protagonista lo sguardo femminile in fotografia, attraverso le immagini delle fotografe e dei fotografi della storica Agenzia Magnum Photos. A Forlì continua il viaggio di Eve Arnold e della sua opera mentre a Bassano del Grappa è possibile ammirare Dorothea Lange con i suoi racconti di vita e lavoro.

Dorothea Lange a Bassano del Grappa

CAMERA è lieta di comunciare che la mostra Dorothea Lange. Racconti di vita e lavoro – nella sale del Centro dal 19 luglio all’8 ottobre 2023 – approderà a fine ottobre al Museo Civico di Bassano del Grappa.

Celeberrima fotografa statunitense, co-fondatrice di Aperture, la più autorevole rivista fotografica al mondo, Lange è la prima donna fotografa cui il MoMA dedicò una retrospettiva nel 1965, proprio pochi mesi prima della sua scomparsa.

Photographer of the people, la fotografa della gente. Così Dorothea Lange si presentava nel suo biglietto da visita. Perché lei, borghese del New Jersey, aveva scelto di non fotografare i divi o i grandi protagonisti del suo tempo, per concentrarsi invece sugli “ultimi” di un’America che stava affondando nella Grande Depressione. Lo sguardo con cui Lange coglie questa umanità dimenticata non è pietistico. Le sue immagini dimostrano infatti comprensione, sensibilità, partecipazione e immensa umanità, uniti ad una capacità di lettura del contesto sociale rafforzata dal rapporto sentimentale e professionale con il marito, l’economista Paul Taylor.

Attraverso un’ampia selezione di opere provenienti da diversi nuclei collezionistici che conservano l’opera di Dorothea Lange (tra cui in particolare la Library of Congress di Washington, i National Archives statunitensi), la mostra si incentrerà principalmente sul periodo d’oro della carriera della fotografa, dagli anni Trenta alla Seconda Guerra Mondiale, presentando anche scatti precedenti e successivi per dare conto della varietà e della profondità della sua ricerca, sempre tesa a restituire un sincero e partecipato ritratto di ciò che la circondava. Come affermò lei stessa, “la macchina fotografica è uno strumento che insegna alla gente come vedere il mondo senza di essa”.

 

La mostra è curata da Walter Guadagnini e da Monica Poggi.

 

Per informazioni, visitare il sito del Museo Civico.